Omelia dell’Arciprete don Biagio Biancheri nella VI Domenica di Pasqua

Dal Vangelo di Giovanni (14,15-21)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Celebrazione Eucaristica in diretta streaming dalla Chiesa Madre di San Cataldo (CL).
OMELIA

Cari fratelli e sorelle,
la pagina evangelica di oggi che è stata proclamata, prepara il culmine del tempo pasquale che stiamo celebrando e ci aiuta a comprendere il senso che ha e deve avere per noi, nella nostra esistenza credente, il tempo pasquale, cioè, che la nostra vita illuminata dalla Pasqua, deve essere principalmente una vita vissuta nell’orizzonte della comunione che è la forma fondamentale dell’amore.

Possiamo fare alcune considerazioni a proposito:

  1. La prima di questa riguarda la corrispondenza che c’è tra amare e osservare i comandamenti del Signore. Sono due dimensioni che si intrecciano reciprocamente e nell’esperienza credente dei discepoli di Gesù, diventano come delle dimensioni interscambiabili: amare significa proprio osservare i comandamenti del Maestro e osservare i comandamenti del Maestro significa veramente amare. Infatti Gesù lo ripete due volte ai suoi amici: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15); e di nuovo, poi: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama» (Gv 14, 21). Ma non dobbiamo pensare erroneamente che per il discepolo di Gesù, l’esperienza dell’amore sia ridotta all’osservanza esteriore e legale della legge. Amare per Gesù significa vivere il comandamento nuovo che Lui da ai sui discepoli, il comandamento dell’amore: «Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Questa corrispondenza tra l’amore e l’osservare il comandamento di Gesù, esprime l’eccedenza dell’amore, l’amore in ogni azione e intenzione del discepolo di Gesù che vuole essere tale e si mantiene alla scuola del Maestro e lo mette in pratica.
  2. Questa osservanza dei comandamenti, si traduce in un vero e proprio rapporto tra Gesù e i suoi discepoli, tra i discepoli e il loro Maestro e tramite il Maestro, il Padre di Gesù stesso. I discepoli entrano in rapporto familiare con Dio Padre, difatti, osservare i comandamenti secondo il linguaggio biblico, soprattutto nel Nuovo Testamento e in particolare nel Vangelo secondo Giovanni, significa intrecciare una relazione di amore con Dio. Già nell’Antico Testamento si legge come una sorta di antifona che ricorre insistente: “La legge di Dio sulle nostre labbra e il suo ricordo dentro il nostro cuore”. La legge di Dio non è semplicemente una legge qualsiasi, ma è la presenza di Dio dentro di noi, nel nostro cuore, per cui, nell’orizzonte biblico, l’osservanza dei comandamenti si sperimenta come una vera e propria obbedienza. L’obbedienza è il rapporto tipico tra chi è figlio e il padre, impersonata in maniera eccellente nei Vangeli da Gesù. Gesù nella pagina evangelica lo spiega ai suoi discepoli e lo ricorda anche a noi: «Il Padre è in me e io nel Padre» (cf. Gv 14, 9-11). L’obbedienza è questa relazione strettissima di intima compresenza dell’uno e nell’altro e quindi in realtà è una vera e propria figliolanza che si contagia da Gesù a noi, come Gesù stesso spiega e promette ai suoi amici nel Vangelo: «Il Padre è in me e io in Lui, ma io sono con voi e voi in me». In forza di questo rapporto di figliolanza, noi siamo ammessi, resi partecipi in questa relazione di figliolanza e siamo costituiti figli di Dio.
  3. La terza sottolineatura riguarda il sigillo di questa figliolanza nella nostra vita, nell’animo di ciascuno di noi: il sigillo dello Spirito Santo. Tutto questo tempo pasquale che stiamo celebrando è il tempo in cui invochiamo e aspettiamo la grazia dello Spirito Santo che viene promesso e viene continuamente donato dal Signore a tutti noi. La pagina del Vangelo di oggi e la liturgia della Parola ce lo ricordano. Abbiamo ascoltato nella prima lettura tramite gli Atti degli Apostoli che racconta la vita della Chiesa nascente che gli Apostoli trasmettevano il dono dello Spirito Santo tramite l’imposizione delle mani. È la vocazione che ci appartiene. Noi siamo chiamati a diventare figli dello stesso Padre di Gesù, vivendo la sua stessa esperienza di sovrabbondante amore, grazie allo Spirito Santo. Questa è la Verità della nostra esistenza cristiana è la verità della nostra identità di discepoli, amici, fratelli di Gesù e difatti lo Spirito Santo viene chiamato in causa nella liturgia come Spirito di verità. Già all’inizio della Messa abbiamo chiesto al Signore di rinnovarci il dono del suo Spirito di verità e nella pagina del Vangelo abbiamo sentito parlare di nuovo dello Spirito di verità. C’è un’altra corrispondenza da cogliere tra lo Spirito e la verità. E questo è un tratto tipico dell’insegnamento di Gesù nel quarto Vangelo secondo Giovanni. Gia Gesù incontrando la Samaritana nel pozzo di Samaria dice a questa donna che verrà l’ora, anzi con Gesù l’ora è già sopraggiunta in cui gli uomini non adoreranno più Dio in un tempio fatto dalle loro stesse mani ma lo adoreranno in Spirito e verità, cioè si metteranno in rapporto con lui e vivranno questa intima comunione con lui nello Spirito e nella verità. Lo Spirito che viene donato e che accogliamo nella nostra esistenza credente, che noi lasciamo agire nella nostra vita è propria la nostra più intima verità. È lo Spirito che porta a compimento il nostro essere e ci costituisce per ciò che dobbiamo essere, in ciò che siamo chiamati a essere per vocazione battesimale, tempio di Dio, giacchè lo Spirito è la presenza intima di Dio nella nostra esistenza e lo Spirito fa dei nostri cuori la casa del Padre, il tempio di Dio.

Continuiamo la nostra Eucaristia con la consapevolezza credente che essere figli di Dio non è un privilegio o un fatto privato è ancora una volta una relazione con il Signore e tra di noi nel Signore. È uno stare insieme nel nome di Gesù ed è un condividere il suo dono pasquale per eccellenza che è il dono dello Spirito che invochiamo tra poco nella preghiera eucaristica sul pane e sul vino e anche sulla nostra comunità raccolta in preghiera.